Centro risoluzione dispute domini
C.r.d.d.


Procedura di riassegnazione del nome a dominio
tenderly.it

Ricorrente: Georgia Pacific S.a.r.l. (avv. Giampiero Mancuso)
Resistente: Tender di Zappalà Sebastiano
Collegio unipersonale: dott. Edoardo Fano

SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA

Con ricorso pervenuto alla Crdd via e-mail il 19 ottobre 2001, la Georgia Pacific S.a.r.l., con sede in Lussemburgo 2449, 3 Boulevard Royal, rappresentata dall’avv. Giampiero Mancuso, introduceva una procedura di riassegnazione ai sensi dell'art. 16 delle regole di naming, per ottenere il trasferimento del nome a dominio tenderly.it, registrato dalla Tender di Zappalà Sebastiano, con sede in  Catania, Via Musumeci, 128.

In data 20 ottobre 2001 la segreteria della Crdd verificava l'intestatario del nome a dominio sul data base whois della Registration Authority, nonché la pagina web risultante all'indirizzo www.tenderly.it. Le verifiche consentivano di appurare:
- che il dominio tenderly.it risultava assegnato alla Tender di Zappalà Sebastiano dal 09.03.1999;
- che il dominio tenderly.it era stato sottoposto a contestazione, registrata sul data base della R.A. il 16.10.2001;
- che all'indirizzo www. tenderly.it risultava un sito attivo.

In data 27 ottobre 2001 perveniva anche l'originale cartaceo del ricorso. Verificatane la regolarità, il giorno successivo la segreteria della Crdd provvedeva ad inviare per raccomandata alla resistente copia del ricorso e della documentazione ad esso allegata; contestualmente, copia del ricorso in formato elettronico veniva inviato per posta elettronica agli indirizzi risultanti dal database whois. 

Non essendo pervenuta la ricevuta di ritorno, né altra comunicazione in merito, che consentisse di verificare l’eventuale mancato recapito del ricorso, sono stati effettuati controlli sul database delle Poste italiane, da cui risulta che la raccomandata è stata “Consegnato dal portalettere dell'ufficio di RM RECAP.S.LORENZO in data 3-NOV-2001 RINVIATO”.

Scaduto inutilmente il 28 novembre 2001 il termine per il deposito delle repliche, la Crdd nominava in data 30 novembre 2001 il sottoscritto saggio Edoardo Fano,  il quale in data 3 dicembre 2001 accettava l’incarico.

ARGOMENTAZIONI DELLA RICORRENTE

La società Georgia Pacific S.A.R.L. (di seguito “ricorrente”), a sostegno del proprio ricorso, afferma e documenta di essere titolare della registrazione italiana n° 672.800 per il marchio TENDERLY, in vigore fino al 25 maggio 2003, la cui relativa domanda è stata depositata presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi in data 8 gennaio 1993: trattasi del rinnovo della precedente registrazione n° 304.217, richiesta in data 25 maggio 1973.

Dal ricorso e dalla documentazione allegata allo stesso si ricava che nel dicembre 1998 la suddetta registrazione di marchio, originariamente di titolarità della società Unikay Disposables S.r.l. che ha cambiato denominazione sociale in Unikay S.r.l. prima e Fort James Italia S.r.l. poi, veniva da quest’ultima ceduta, insieme ad altre registrazioni di marchio TENDERLY, alla società lussemburghese Fort James S.A.R.L., che nel febbraio 2001 mutava a sua volta denominazione sociale in Georgia Pacific S.A.R.L.

La ricorrente, avendo deciso di aprire un sito web all’indirizzo telematico www.tenderly.it, si rende conto che già esiste un sito web a tale indirizzo, appartenente alla Agenzia Tender di Zappalà Sebastiano (di seguito “resistente”), con sede a Catania, titolare del nome a dominio corrispondente tenderly.it: trattasi di un’agenzia matrimoniale on-line, come appare a chiare lettere sulla copia della home page del sito in questione, allegata al ricorso.

La lettera di diffida inviata in data 18 dicembre 2000 dalla ricorrente alla resistente porta ad alcuni contatti telefonici, durante i quali quest’ultima si dichiara disponibile a cancellare la registrazione di nome a dominio oggetto della contestazione.

Tuttavia ciò non avviene e ogni ulteriore tentativo della ricorrente di contattare la resistente, sia per lettera che per telefono, risulta vano.

Nel frattempo il sito web all’indirizzo www.tenderly.it viene oscurato su iniziativa del relativo provider, a causa del mancato pagamento da parte della resistente dei canoni dovuti al provider stesso, come da quest’ultimo spiegato alla ricorrente in una e-mail allegata in copia al ricorso.

Sulla base dei propri diritti di marchio, in data 4 ottobre 2001 la ricorrente ha contestato presso la Registration Authority italiana la registrazione di nome a dominio tenderly.it da parte della resistente e ne richiede ora al presente collegio unipersonale del C.R.D.D. il trasferimento a proprio nome in applicazione della Procedura di Riassegnazione prevista dall’art. 16 delle regole di naming.

La ricorrente afferma che sussistono le tre condizioni a), b) e c) richieste dall’art.16.6 delle regole di naming affinché il nome a dominio contesto venga riassegnato, in quanto:

a) la ricorrente “vanta diritto di esclusiva” sul marchio TENDERLY, identico al nome a dominio contestato;

b) l’attuale assegnatario non ha alcun diritto o legittimo interesse in relazione a dominio contestato, dal momento che “dalle premesse in fatto, e dalla documentazione allegata, emerge inequivocabilmente che la Georgia Pacific S.A.R.L. è titolare del marchio TENDERLY”;

c) la malafede del resistente “si desume con certezza dalle seguenti considerazioni”:
- “il marchio TENDERLY è da molti anni marchio di grande rinomanza: esso infatti è, da oltre vent’anni, presente sul mercato dei prodotti di carta ad uso domestico in tutti i più importanti punti vendita, ed è altresì pubblicizzato ripetutamente sui principali canali televisivi nazionali, nonché sui quotidiani e periodici di maggior rilievo” (a sostegno di ciò la ricorrente riporta e documenta il risultato di indagini di mercato condotte nel 2001; il fatturato dell’anno 2000 e dei primi 5 mesi del 2001 relativo ai prodotti contrassegnati dal marchio TENDERLY; gli esborsi relativi alle campagne pubblicitarie aventi per oggetto tale marchio per gli anni 1999, 2000 e i primi 4 mesi del 2001);
- “ciò discende come naturale conseguenza dal fatto che il Gruppo Georgia Pacific è il maggiore produttore mondiale di prodotti in carta”;
- “allorché recentemente lo Zappalà si è indotto a richiedere alla Authority Registration la registrazione del nome a dominio tenderly, lo ha fatto nella piena consapevolezza di usare un marchio altrui”;
- “è di tutta evidenza che l’interesse della Agenzia Matrimoniale Tender sarebbe semmai stato quello di aprire un sito con la propria denominazione, mentre il fatto di avere utilizzato un nome a dominio diverso e di grande rinomanza denuncia l’intendimento di sfruttarlo, onde attrarre sul proprio sito (ingannevolmente) un maggior numero di navigatori e potenziali clienti”;
- “il fatto che lo Zappalà si sia in un primo momento dichiarato disponibile a chiedere la cancellazione della registrazione (circostanza priva di riscontro probatorio documentale, in quanto desunta da presunti contatti telefonici tra la resistente e la ricorrente, in merito ai quali quest’ultima è disponibile a rendere prova testimoniale), sta a dimostrare che lo Zappalà fosse consapevole della illegittimità del proprio comportamento”.

Sulla base delle suddette argomentazioni nonché della documentazione a sostegno delle stesse la ricorrente chiede il trasferimento a proprio nome del dominio tenderly.it.

ARGOMENTAZIONI DELLA RESISTENTE

La resistente non ha depositato alcuna replica in difesa della sua posizione, nonostante sia stata messa nelle condizioni di farlo entro i termini previsti dall’art. 5 della Procedura di Riassegnazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo le previsioni dell’art. 16.6 delle regole di naming, affinché un nome a dominio possa essere riassegnato alla ricorrente devono sussistere le seguenti condizioni.

Identità del nome a dominio e possibilità di confusione (art. 16.6 lettera a.) 

Dalla documentazione agli atti la ricorrente risulta essere titolare della registrazione n° 672.800 avente per oggetto il marchio TENDERLY, identico al nome a dominio contestato tenderly.it, e pertanto la prima condizione prevista dall’art. 16.6 delle regole di naming è da ritenersi soddisfatta.

Diritto o titolo della resistente (art. 16.6 lettera b.) 

Per ciò che concerne tale comma dell’art. 16.6 delle regole di naming, a seguito della decisione 33.3 del Comitato esecutivo del 27/4/2001 è stato deciso che spetti alla resistente provare di avere diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato.

Sempre secondo l’art. 16.6 delle regole di naming come modificato dalla suddetta decisione, la resistente sarà ritenuta avere diritto o titolo al nome a dominio contestato qualora provi che:
1) prima di avere avuto notizia della contestazione in buona fede ha usato o si è preparata oggettivamente ad usare il nome a dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni o servizi; oppure
2) che è conosciuta, personalmente, come associazione o ente commerciale, con il nome corrispondente al nome a dominio registrato, anche se non ha registrato il relativo marchio; oppure
3) che del nome a dominio sta facendo un legittimo uso non commerciale, oppure commerciale senza l’intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato.

Nel presente caso la ricorrente non ha presentato alcuna memoria tesa a dimostrare un suo diritto o titolo al nome a dominio contestato.

Ritiene tuttavia lo scrivente, condividendo la posizione già precedentemente assunta da altri collegi (per tutte, se ne veda la prima,  dominio asscond.it, saggio Trotta, su http://www.e-solv.it/decisioni/asscond.htm), che la resistente, per quanto contumace, veda riconosciuto il proprio diritto alla difesa in una valutazione oggettiva della documentazione agli atti nonché delle informazioni ricavabili dalla banca dati Whois della Registration Authority italiana.

Proprio da quest’ultima si ricava infatti che, all’epoca della registrazione a proprio nome del dominio tenderly.it (9 marzo 1999), la resistente non avrebbe potuto, anche volendo, registrare il nome a dominio coincidente con la propria ditta, vale a dire tender.it, in quanto quest’ultimo era già stato registrato in data anteriore (26 novembre 1997) da parte della società Tender S.a.s., operante nel settore informatico.

Se da un lato è vero che la resistente avrebbe pur sempre potuto registrare nomi a dominio quali ad esempio agenzia-tender.it, agenziatender.it o agenziamatrimonialetender.it, non bisogna dall’altro dimenticare che:
Ø un nome a dominio breve è unanimemente riconosciuto come preferibile a nomi lunghi o, ancora peggio, composti;
Ø all’epoca della registrazione del dominio contestato era consentita una sola registrazione per ogni soggetto richiedente.

Pertanto la resistente, nell’impossibilità di registrare il dominio tender.it, ha presumibilmente deciso di registrare un nome a dominio che fosse il più possibile vicino alla parte distintiva della propria ditta (vale dire “tender”) e la sua scelta è caduta su tenderly.it.

Qualora, come sostiene la ricorrente, tale scelta sia stata dettata dal tentativo di “agganciarsi” ad un marchio “di grande rinomanza” è un elemento che verrà valutato in seguito come circostanza di eventuale malafede della resistente al momento della registrazione del nome a dominio contestato.

Tuttavia, a parere del presente collegio unipersonale, la dimostrazione della malafede o meno della resistente appare nel caso di specie superflua, dal momento che non si ritiene soddisfatta la condizione prevista dall’art. 16.6 lettera b. delle regole di naming, vale a dire la circostanza che “l’attuale assegnatario (“resistente”) non abbia alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato”.

Dalla documentazione allegata al ricorso risulta infatti che la resistente, prima di avere avuto notizia della contestazione, ha usato il nome a dominio contestato come indirizzo telematico di un sito web all’interno del quale offriva i propri servizi di agenzia matrimoniale (circostanza prevista dall’art. 16.6 numero 1. delle regole di naming).

In fatto che tale sito web sia stato successivamente oscurato non incide sul suddetto giudizio, in quanto ciò è avvenuto per volontà del provider della resistente e non di quest’ultima.

Non solo.

La resistente (costituitasi nel 1999 con il nome di “Tender di Zappalà Sebastiano”, come da visura camerale allegata al ricorso) risulta essere conosciuta con una ditta – “tender” – quasi identica al nome a dominio contestato (circostanza prevista dall’art. 16.6 numero 2. delle regole di naming) e, fino all’oscuramento del sito web da parte del proprio provider, ha fatto un legittimo uso commerciale del nome a dominio contestato senza l’intento di sviare la clientela della ricorrente o di violarne il marchio registrato (circostanza prevista dall’art. 16.6 numero 3. delle regole di naming), dal momento che operava come agenzia matrimoniale, servizio ben lontano dall’attività imprenditoriale della ricorrente (produzione e vendita di prodotti in carta per uso domestico).

In considerazione di quanto sopra, la seconda condizione prevista dall’art. 16.6 delle regole di naming non risulta soddisfatta.

Registrazione ed uso in malafede (art. 16.6 lettera c.) 

Come anticipato, la valutazione dell’esistenza o meno dell’ultima condizione prevista dalle regole di naming viene svolta ad abundantiam, giacché l’insussistenza del precedente requisito non consente che il dominio in oggetto venga riassegnato alla ricorrente.

L’art. 16.7 delle regole di naming elenca una serie esemplificativa di circostanze che, qualora vengano dimostrate, sarebbero ritenute prova della registrazione ed uso del dominio in malafede.
Queste sono:
a) circostanze che inducano a ritenere che il nome a dominio è stato registrato con lo scopo primario di vendere, cedere in uso o in altro modo trasferire il nome a dominio alla ricorrente (che sia titolare dei diritti sul marchio o sul nome) o a un suo concorrente, per un corrispettivo, monetario o meno, che sia superiore ai costi ragionevolmente sostenuti dalla resistente per la registrazione ed il mantenimento del nome a dominio;
b) la circostanza che il dominio sia stato registrato dalla resistente per impedire al titolare di identico marchio di registrare in proprio tale nome a dominio, ed esso sia utilizzato per attività in concorrenza con quella della ricorrente;
c) la circostanza che il dominio sia stato registrato dalla resistente con lo scopo primario di danneggiare gli affari di un concorrente o usurpare nome e cognome della ricorrente;
d) la circostanza che, nell’uso del nome a dominio, esso sia stato intenzionalmente utilizzato per attrarre, a scopo di trarne profitto, utenti di Internet creando motivi di confusione con il marchio della ricorrente.

Nel caso in esame appare prima facie evidente che le circostanze a), b) e c) non trovano applicazione, infatti:
Ø la resistente non risulta aver avuto l’intenzione di vendere o comunque trasferire il dominio contestato alla ricorrente o a terzi;
Ø per ciò che concerne le circostanze b) e c), l’insussistenza di un rapporto di concorrenza tra le parti in causa (operanti, giova ricordarlo, una nell’offerta di servizi di agenzia matrimoniale, l’altra nella produzione e vendita di prodotti in carta per uso domestico) esclude a priori che possano essersi verificate.

La ricorrente fonderebbe invece la prova della malafede della resistente sul suddetto punto d), vale a dire sul tentativo di “agganciamento” ad un marchio rinomato allo scopo di attirare ingannevolmente dei navigatori sul proprio sito web e quindi trarre profitto da questa condotta.

Premesso che, in virtù della oggettiva diversità del tipo di clientela verso cui le parti in causa indirizzano i propri prodotti/servizi, difficilmente la resistente potrebbe trarre profitto dal fatto che degli utenti Internet, navigando alla ricerca di prodotti di carta per la casa, digitino www.tenderly.it e indugino su un sito web che offre servizi di agenzia matrimoniale, non si vede come possa crearsi confusione con il marchio della ricorrente.

Quando infatti il sito web all’indirizzo www.tenderly.it non era stato oscurato per iniziativa del provider, all’home page dello stesso non era presente alcun banner pubblicitario (che avrebbe in teoria potuto giustificare un interesse economico della resistente ad attirare ingannevolmente navigatori sul proprio sito web) e si leggeva invece a chiare lettere quanto segue:
Agenzia matrimoniale Tender Home-Page
Agenzia Matrimoniale On Line (Autorizzata – Questura di Catania)
Elenchi: Donne / Uomini
Al centro della pagina, accanto al disegno di una coppia che abbracciata cammina sotto il sole, si leggeva a grandi lettere la parola “tender”.

Non bisogna tuttavia dimenticare che le suddette circostanze previste dall’art. 16.7 delle regole di naming non sono tassative bensì esemplificative, restando aperta la possibilità per la ricorrente di provare la malafede della resistente sulla base di altri elementi.

Oltre al punto d) dell’art. 16.7 delle regole di naming, la ricorrente sembra dedurre la malafede della resistente dal comportamento adottato da quest’ultima una volta ricevuta la lettera di diffida.

Il fatto però che la resistente avesse in un primo momento accettato di cancellare la registrazione del nome a dominio contestato e successivamente non abbia rispettato tale impegno “verbale” può essere indice di un cambiamento di opinione, forse a seguito di una riflessione sulla reale possibilità che la notorietà del marchio TENDERLY possa arrivare ad estendere il diritto di esclusiva della ricorrente fino ad un settore così lontano come quello delle agenzie matrimoniali.

Lo stesso scrivente, pur non essendo questa le sede dove giudicare del merito della tutela extramerceologica di un marchio rinomato (come già affermato da altro collegio unipersonale nella decisione sulla MAP relativa al nome a dominio cimone.it, saggio Carabelli, su http://www.arbitronline.it/tmpdoc%5Cdecisione95.doc), avrebbe forti dubbi a questo proposito, i quali, anche a voler ammettere una tale “estensione” della tutela ampliata (sempre difficile quando trattasi di prodotti contro servizi, per di più in settori così lontani), derivano sostanzialmente dalla non sempre facile applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera c) della Legge Marchi.

Secondo la lettera c) del comma 1 del suddetto articolo:
“I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare:
(omissis)
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi non affini, se il marchio registrato gode nello Stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Autorevole dottrina (Vanzetti-Galli, “La nuova Legge Marchi”, seconda edizione aggiornata con i D.lgs. nn. 198/96 e 447/99) ritiene che una tale tutela ampliata dei marchi di rinomanza, eccezione al principio di relatività, si applichi anche in mancanza di un pericolo di confusione, a condizione che manchi un giusto motivo e si verifichino l’indebito vantaggio ovvero il pregiudizio.

La suddetta dottrina definisce il pregiudizio come “momento in cui il segno dell’imitatore comunica al pubblico un messaggio nel quale, oltre al richiamo al marchio imitato e quindi al messaggio di cui esso è caricato (richiamo che costituisce la condicio sine qua non della tutela), siano presenti altri elementi i quali vengono a «contaminare» quest’ultimo messaggio” e l’indebito approfittamento come “l’agganciamento parassitario dei prodotti o dei servizi dell’imitatore all’immagine legata al marchio imitato e alla notorietà di esso; i vantaggi che questo tipo di accostamento comporta per l’imitatore riguardano certamente i marchi che comunicano un messaggio evocativo, ovvero quelli connessi ad un elevato standard di qualità. Si è peraltro anche osservato come, più in generale, l’uso di un marchio già noto in un altro settore per il lancio di un nuovo prodotto consenta considerevoli risparmi di costi pubblicitari; è chiaro che anche qui (ovviamente quando questo fenomeno si verifichi effettivamente) viene in considerazione un effetto del messaggio che il marchio comunica al pubblico, effetto che viene parassitariamente sfruttato dall’imitatore”.

In entrambe le definizioni si fa quindi riferimento al “messaggio evocativo” del marchio, nella seconda anche allo “standard qualitativo” ad esso connesso.

Ora, nel caso in esame è difficile pensare che la resistente abbia potuto (fino all’oscuramento del sito web) da un lato pregiudicare il messaggio del marchio TENDERLY della ricorrente (identificabile nell’elevato livello di morbidezza, assorbenza, resistenza, estetica, qualità della carta per uso domestico), dall’altro avvantaggiarsi di tale messaggio evocativo nonché degli standard qualitativi del relativo prodotto nell’offerta al pubblico dei propri servizi di agenzia matrimoniale.

Non si deve inoltre dimenticare che il significato dell’avverbio inglese “tenderly” (in italiano “teneramente, affettuosamente, delicatamente”, secondo il dizionario Garzanti Hazon), nel caso della ricorrente richiama una caratteristica fisica dei prodotti in carta (appunto la tenerezza, la morbidezza), mentre in relazione ai servizi della resistente dovrebbe intendersi nel significato emotivo di tenerezza, vale a dire nella sfera dei sentimenti (più “affettuosamente” che “teneramente”, quindi).

L’osservazione che il marchio TENDERLY della ricorrente descriva un aspetto fisico dei prodotti dal marchio in questione contraddistinti porterebbe inoltre a considerare debole un tale marchio, indubbiamente rafforzato dai decenni di uso (grazie al cosiddetto secondary meaning) e dagli ingenti esborsi pubblicitari documentati all’interno del ricorso stesso.

Ciò consentirebbe oggigiorno di elevare il marchio TENDERLY nella ristretta cerchia dei marchi rinomati previsti dall’art. 1, comma 1, lettera c) della Legge Marchi, ma probabilmente secondo un’interpretazione particolarmente restrittiva di tale norma che difficilmente ne amplierebbe la tutela fino a ricomprendere i servizi di agenzia matrimoniale.

Passando infatti ad esaminare la giurisprudenza su tale punto, si nota che i giudici italiani hanno applicato la suddetta tutela extramerceologica con grande parsimonia, privilegiando la competitività del mercato (degli operatori che esercitano attività economica in settori merceologici distanti tra loro) rispetto ad un’allargata tutela della posizione di monopolio del titolare del marchio.

A dimostrazione di ciò, nell’ordinanza del 17 febbraio 1997 del Tribunale di Bologna (marchio DUCATI per motociclette e birra) si legge che “(omissis); resta invero del tutto indimostrato il preteso stretto spazio merceologico intercorrente tra la «birra» ed i «motori» e tale distanza, implicata nel nesso causale rinvenibile nell’art. 1, comma 1, lett. C), l.m. («se l’uso del segno … consente di trarre … o reca pregiudizio»), per la sua ampiezza preclude un automatico (illecito) trasferimento del messaggio incorporato nel (preteso) marchio imitato sui prodotti caratterizzati dal segno imitante; (omissis)”.

Anche quando il dettato dell’articolo in esame è stato applicato dal giudice italiano, proprio in un caso riguardante un nome a dominio (peugeot.it), si afferma che “(omissis) Appare indubitabile che presentare prodotti e servizi di informatica col nome Peugeot significa utilizzare la rinomanza, la affidabilità, la imponenza industriale e commerciale, i sistemi di garanzia della celeberrima casa francese. (omissis); inoltre, l’uso commerciale ormai radicato (e dimostrato dai numerosissimi e svariati settori di attività ove è registrato il marchio Peugeot facente sempre capo allo stesso soggetto) delle grosse imprese di diversificare la propria produzione, estendendola agli accessori, ad attività collegate e anche ad altre attività (si pensi che vi è un profumo con il marchio della casa automobilistica Ferrari …), rende del tutto credibile che la Peugeot, casa automobilistica, si occupi anche di macchine e sistemi informatici” (Ordinanza del Tribunale di Vicenza, 6 luglio 1998, le sottolineature sono del presente collegio unipersonale).

Quest’ultima argomentazione non sembrerebbe applicabile all’attuale oggetto del contendere, dal momento che il marchio TENDERLY risulta essere stato registrato dalla ricorrente solo in relazione alle classi 16 (prodotti in carta) e, in alcuni casi, 5 (prodotti farmaceutici) ed essendo la ricorrente, per sua stessa definizione, “il maggiore produttore mondiale di prodotti in carta”: l’estrema specializzazione del settore merceologico della ricorrente e l’assenza di una qualsiasi attività di merchandising da parte della stessa rende oltremodo difficile (anche se non impossibile, data l’irrilevanza, con la nuova Legge Marchi, del carattere monoprodotto del marchio al fine di escluderne la tutela extramerceologica) l’eventualità che il marchio TENDERLY possa essere considerato rinomato al punto da estenderne l’esclusiva e quindi la tutela ad un settore remoto come quello dei servizi di agenzia matrimoniale.

Ricordando che l’insussistenza della condizione richiesta alla lettera b) dell’art. 16.6 delle regole di naming rendeva superflua ogni considerazione sulla malafede della resistente, quest’ultima condizione non è stata provata dalla ricorrente e pertanto la terza condizione prevista dall’art. 16.6 delle regole di naming non risulta in ogni caso soddisfatta.

CONCLUSIONI

In considerazione di quanto sopra il presente collegio unipersonale ritiene che il ricorso in esame non possa che essere respinto.

P.Q.M.

In applicazione delle vigenti regole di naming si respinge il ricorso presentato dalla società Georgia Pacific S.A.R.L. per la riassegnazione del nome a dominio tenderly.it, che rimane pertanto legittimamente di titolarità della Agenzia Tender di Zappalà Sebastiano.

La presente decisione viene comunicata alla Registration Authority italiana per i provvedimenti di cui all’art. 14.5 lettera a) delle regole di naming.

Milano, 17 dicembre 2001

Dott. Edoardo Fano
 

 


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